Buongiorno amici di Cherieswood. Oggi voglio parlarvi ancora di sport ma introducendo un argomento che mi sta molto a cuore. Ho dovuto affrontarlo diverse volte in passato e oggi lo propongo a voi per rifletterci insieme.
Voglio parlarvi degli stereotipi di genere ancora oggi radicati nell’attività sportiva anche se, fortunatamente, meno di ieri. Sono deleteri per le menti in formazione dei nostri figli. Limitano le aspettative dei bambini in base al proprio sesso, togliendo loro buone opportunità per sentirsi realizzati.
Ma in una società in evoluzione come la nostra sarebbe ora di superare questi pregiudizi. Dovremmo lasciare i bambini liberi di essere sé stessi e far fare loro ciò che li fa sentire meglio. Non esistono sport per maschi o sport per femmine. Un bambino può essere felice mentre danza e una bambina mentre calcia un pallone, non ci vedo nulla di sbagliato.
Un bambino con una passione da vivere non deve essere ostacolato. Aiutarlo a realizzare il suo sogno è quanto di meglio un genitore possa fare per vederlo sereno e felice. Non tronchiamo le gambe ai nostri figli per assurdi e vetusti modi di pensare che non hanno più ragione di esistere.
Né per maschi né per femmine: lo sport come divertimento
Lo sport è unisex e dovrebbe avere come obiettivo quello di far divertire i bambini. I nostri figli hanno il diritto di esprimersi in toto, e quindi di partecipare all’attività sportiva che preferiscono. Calcio, nuoto, danza, ginnastica ecc. non devono essere riservati a maschi o a femmine. Non ci si deve basare su questa concezione vecchia e sbagliata dello sport quando si sceglie quale attività sportiva far praticare ai nostri figli.
Ma affinché questi stereotipi cambino dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare. E visto che la conoscenza è sempre alla base dei cambiamenti più costruttivi, facciamo un piccolo tuffo nel passato. Vediamo da dove deriva questa convinzione errata di attribuire un determinato sport ai maschi piuttosto che alle femmine e viceversa.
Sport per maschi e femmine: origini culturali e storiche
Il perché dell’attribuire a determinati sport l’aggettivo maschile e ad altri quello femminile è da ricercare in primis nelle nostre radici storiche e culturali.
Le differenze fisiche tra i due sessi hanno sempre portato a vedere l’uomo come il simbolo della forza, dell’aggressività. Il maschio è colui che può e deve competere.
Al contrario la donna è sempre stata considerata più debole. A lei sono sempre state accostate grazia, delicatezza e sono stati attribuiti ruoli meno impegnativi dal punto di vista fisico. Inoltre era credenza comune che fosse meno portata dell’uomo nella pratica delle discipline sportive.
Questo modo di pensare ha sempre limitato la partecipazione delle donne alle attività sportive. Nell’antica Grecia come anche nell’Impero Romano, era difficile che una donna potesse partecipare a competizioni sportive. Nel Medioevo, poi, la sola idea che la donna facesse qualcosa che non riguardasse la gestione della casa e della famiglia era considerata assurda.
Ci sono voluti secoli affinché le donne riuscissero a far valere i loro diritti nel mondo dello sport. Solo agli inizi del XX secolo sono state aperte loro le porte delle Olimpiadi.
Nonostante questo ancora non sono stati superati del tutto i pregiudizi discriminatori che si affollano intorno al binomio donna-sport. Pregiudizi che, spesso, vengono trasmessi ai nostri bambini, con tutti i problemi che ne derivano.
Il bombardamento mediatico
Altra causa che condiziona notevolmente i nostri figli nella scelta dello sport è la TV.
Sappiamo benissimo quanto il rapporto tra i bambini di oggi e lo schermo sia molto stretto. Rispetto al passato, i nostri figli passano molte più ore a contatto con programmi televisivi e pubblicità di ogni genere. E, solitamente, quando si tratta di sport, vengono mandate in onda prevalentemente competizioni che vedono gli uomini protagonisti.
Devo ammettere però che, rispetto a qualche decennio fa, qualcosa sta cambiando. Sono sempre di più i volti delle atlete che si affacciano al piccolo schermo. La prima che mi viene in mente è Federica Pellegrini.
E inoltre stanno acquisendo visibilità anche sport praticati da donne che fino a qualche anno fa erano ritenuti appannaggio dei soli uomini. Prendiamo il calcio, per esempio. Il solo fatto che i mondiali femminili di calcio siano stati trasmessi in chiaro ha fatto sì che raggiungessero molte persone. E sapete cos’è successo? Secondo la FIFA sono aumentate del 40 % le iscrizioni delle bambine alle scuole di calcio. Secondo voi questo cosa significa?
Maschi contro femmine? No!
Il fatto che bambini e bambine possano praticare lo stesso sport implica anche che possano gareggiare o allenarsi insieme?
Dipende dall’età dei bimbi e dal tipo di sport praticato.
Quando si è piccoli non esistono differenze sostanziali in termini di forza, potenza, elasticità e resistenza tra maschietti e femminucce. Molte squadre di calcio o basket sono aperte indistintamente a maschi e femmine al di sotto degli 11 anni. Mia figlia, quando praticava ginnastica artistica, fino agli 8 anni si allenava con bambini e bambine.
Poi però, con la crescita, è logico che le differenze fisiche in alcuni sport si facciano sentire. Ed è normale che si richiedano risultati diversi agli atleti e alle atlete. Questo non vuol dire avvantaggiare un sesso piuttosto che un altro, ma dare a tutti le stesse opportunità. Lo sport non deve mettere a confronto se non pacificamente e in occasione delle gare. Deve favorire una competizione sana e valorizzare le abilità individuali di ogni bambino.
È normale che certi sport, come la ginnastica artistica, per esempio, non permettano gare tra bambini e bambine. Ma altri, come l’equitazione, invece, possono garantire un’equa competizione sia che a gareggiare siano atleti o atlete.
Il valore dell’educazione nella pratica sportiva
Lo sport riveste un ruolo importante nell’educazione dei più piccoli. Insegna loro a gestire le proprie emozioni, a collaborare a sviluppare l’autostima. Li aiuta a capire l’importanza della disciplina, della perseveranza, del rispetto per gli altri.
E, se l’ambiente sportivo in cui vengono inseriti incoraggia la partecipazione di tutti i bambini, indipendentemente dal sesso, insegna loro anche a combattere stereotipi di genere. Quante forme di bullismo più o meno velate potrebbe scoraggiare un’educazione di questo tipo?
Sarebbe bellissimo se ogni bambino si sentisse libero di esprimere la propria identità e far venire fuori il proprio potenziale senza dover scavalcare barriere. Sarebbe un passo importante per il suo presente e per il suo futuro che nessun pregiudizio dovrebbe mai ostacolare.
Sport per maschi e femmine: il ruolo dei genitori
Se tua figlia, come la mia, vuole arrampicarsi come una scimmietta, non devi cercare di farle cambiare idea perché non ti sembra un’attività aggraziata da far praticare a una bambina.
Se tuo figlio vuole impegnarsi nella danza classica o nel pattinaggio artistico non devi pensare sia poco adatto a lui perché è un maschietto. Devi appoggiarlo, assecondare la sua passione ed essere orgoglioso di ogni suo piccolo/grande progresso.
Se vogliamo che vengano superati gli stereotipi di genere nello sport la prima cosa che dobbiamo fare è lavorare su noi stessi. Certamente da soli non potremmo cambiare il mondo, ma da qualche parte si dovrà pure cominciare.
Se vogliamo che nostro figlio sia libero di essere sé stesso combattiamo al suo fianco. Un bambino che si vede appoggiato da mamma e papà si sentirà più forte e potrà anche provare ad affrontare quel mondo là fuori che non gli vuole permettere di esprimere ciò che ha dentro.
Sonia